Medici in pensione, l’Emilia Romagna potrebbe richiamarli

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A confermare l’intenzione della Giunta Bonaccini è stato lo stesso assessore regionale alla Sanità, Sergio Venturi, precisando che si tratterebbe di contratti a progetto.  “Abbiamo verificato che la possibilità giuridicamente c’è – ha ribadito Venturi –  ovviamente se i concorsi vanno deserti e se non troviamo personale con altre forme di reclutamento. Richiamare i medici dalla pensione la consideriamo come l’ultima delle possibilità, ma rientra tra le cose che possiamo fare. Si tratterà, neanche a dirlo, di un ritorno volontario, non c’è nessuna obbligatorietà, ma sappiamo che i medici sono molto sensibili al richiamo della professione”. Del resto, sottolinea Venturi, “non possiamo interrompere un servizio pubblico”.
Nessun allarmismo: “siamo convinti che ce la potremo fare bene a mantenere l’assistenza nei pronto soccorso e nelle sale operatorie, che sono i due settori in cui avremo più carenza, considerando anche che negli ultimi 3 anni abbiamo assunto 500 medici, a livello regionale, e quindi partiamo da una dote importante”. Il problema è legato al collo di bottiglia delle scuole di specializzazione. “Non abbiamo carenza di medici, ma di specialisti – conferma Venturi – A livello nazionale mancano almeno 2.000 borse di studio ogni anno, le 900 che finanzierà il ministero non sono sufficienti”.  “Io personalmente – afferma il dott. Paolo Tosi, oggi in pensione, già primario del Pronto soccorso dell’ospedale di Carpi e successivamente alla guida del reparto di Medicina di Mirandola – non riprenderei servizio anche se la carenza di specialisti, per esempio in pediatria e anestesia potrebbe giustificare il ricorso a medici che con la loro esperienza potrebbero essere sicuramente utili. Per affrontare l’emergenza però il primo passo deve essere quello di indire bandi di concorso per assumere nuovi medici e, solo nel caso in cui non si presenti nessuno, si possono valutare eventuali alternative. Per tanti anni si è mantenuto il numero chiuso per accedere alle facoltà di medicina e oggi siamo di fronte a una criticità dovuta alla mancanza di un numero sufficiente di specialisti su tutto il territorio nazionale: una situazione non risolvibile in tempi rapidi e che induce la Regione a ricorrere a soluzioni che sono fuori dalla consuetudine. Nel frattempo è indispensabile incoraggiare l’accesso alle specialità attraverso l’erogazione di borse di studio”. “Se un chirurgo non opera da dieci anni diventa difficile reinserirlo perché ha perso la sua dimestichezza ma, se la mia esperienza da dirigente nella gestione dei problemi potesse essere utile, la metterei a disposizione della sanità pubblica” precisa il prof. Giuseppe Masellis, che è stato primario del reparto di Ostetrica e Ginecologia del Ramazzini. “Non c’è stata una programmazione adeguata: era prevedibile che riservando a pochi l’accesso alla professione, mentre tanti accedevano alla pensione, si profilasse una situazione così problematica. Del resto aumentare il numero di iscrizioni comporta altri problemi organizzativi per le università che si devono attrezzare reperendo docenti, aule e risorse.  Comunque, i neo pensionati possono essere utilizzati per qualche anno ma solo per raggiungere l’obiettivo di stabilizzare il sistema”.   Rientrare in servizio? “Assolutamente no” è la risposta del dott. Mario Baratti, punto di riferimento per il Parkinson mentre era in servizio presso l’Unità operativa di Neurologia dell’ospedale di Carpi. “E’ una responsabilità politica quella di non aver programmato in modo corretto il futuro del Servizio Sanitario, degli ospedali, dei medici. Con tutto il rispetto, richiamare in servizio i chirurghi dopo due o tre anni di assenza è un rischio perché potrebbero non essere più all’altezza della situazione. Ci si preoccupa per i dati che riguardano la disoccupazione giovanile ma poi non c’è visione del futuro in questa Italia”.

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