Ragazzi incollati allo schermo: quando c’è da preoccuparsi?

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Ha scelto il mondo del Gaming Disorder, che è tutto da indagare da parte della comunità scientifica, contribuendo con la sua ricerca a conoscere meglio quali rischi corrono gli adolescenti che abusano dei videogiochi. Chiara Marchi, carpigiana di 33 anni, psicologa e psicoterapeuta, lavora al Centro Tice di Correggio e, grazie a Gaming, quale rischio per gli adolescenti: un trattamento comportamentale cognitivo ha conseguito il Master ABA (Applied Behavior Analysis).

“Riconosciuto dall’ Organizzazione Mondiale della Sanità, il Gaming Disorder è associato alle dipendenze ma non ancora tale: mancano sufficienti dati epidemiologici e criteri di ricerca standardizzati a livello mondiale” spiega la dottoressa Marchi, ma gli utilizzatori patologici di Internet sono sempre più numerosi da quando “connettersi è perennemente possibile grazie allo smartphone che teniamo sempre con noi”.

La questione è più complessa di quel che si possa pensare perché il mondo virtuale, “da una parte può essere un contesto particolarmente rischioso, dall’altra rappresenta un’opportunità di futuro per i giovani che intravedono uno sbocco lavorativo in un settore in forte espansione. Inoltre ci sono ricerche scientifiche che attestano l’importanza dell’utilizzo dei videogiochi, ad esempio per potenziare la memoria migliorando le capacità cognitive. Occorre sottolineare questa differenza rispetto alle altre dipendenze, da droga o gioco d’azzardo, che non hanno alcun aspetto positivo”.

L’altra faccia della medaglia è il rischio di dipendenza da video, videogiochi, Internet indotta attraverso dei rinforzatori che rendono attraente e divertente l’interazione al punto che ne deriva una soddisfazione da cui a fatica ci si riesce a staccare. “A ogni azione sul display compare il messaggio: bravo oppure molto bene o ancora hai vinto, ci si sente gratificati da suoni e colori, e il portafoglio virtuale si gonfia di denaro inducendoci a pensare di ottenerne sempre di più per avere più possibilità di centrare l’obiettivo. Nel caso clinico al centro della ricerca, la giornata del ragazzo era scandita dagli eventi proposti dal sistema di un videogioco a scadenze fisse nell’arco delle ventiquattro ore.  Un ragazzo che gioca e vince sente di essere capace e in grado di confrontarsi coi pari età: in realtà ha costruito, sfida dopo sfida, un avatar che lo rappresenta”.

Nel campo delle terapie psicologiche la realtà virtuale viene utilizzata per pazienti che soffrono di fobie e disturbi d’ansia affinché, attraverso un avatar, possano sperimentare in campo virtuale ciò che li aspetta nella realtà.

Quando giocare coi videogames diventa patologico? 

“Il tempo di fruizione (i genitori devono chiedersi quanto il figlio rimane incollato allo schermo) è un indicatore ma lo è ancor di più il tempo che rimane da dedicare ad altro: quando sparisce o lo si percepisce meno piacevole. Se un ragazzino torna a casa da scuola e rimane davanti a uno schermo per cinque ore, cena e poi torna davanti allo schermo o addirittura salta la cena per rimanere a guardare i video di youtuber che giocano ai videogiochi, se un ragazzino si priva del cibo e del sonno, delle relazioni sociali, dei bisogni primari, i genitori devono intervenire.  Da tenere sott’occhio anche il comportamento nel momento in cui il ragazzino interrompe il gioco: com’è, quanta aggressività manifesta, quanta rabbia, nervosismo, irritabilità espressa o trattenuta. E ancora: quanto desiderio c’è di provare emozioni che sono date da altre esperienze? Se il dispositivo (computer, cellulare o consolle) diventa l’unica cosa che il ragazzino vuole, tutto il resto perde di efficacia e importanza”. 

A quel punto la maggior parte dei genitori interviene staccando la spina o ritirando l’oggetto dei desideri ma “demonizzare non serve e si ottiene l’effetto opposto: il problema si acutizza a causa dell’astinenza forzata e non aiuta la comunicazione che è il tassello fondamentale. Il genitore deve cercare di capire perché il figlio ottiene piacere, che cosa lo fa stare bene e cosa lo fa stare male mentre è davanti allo schermo del cellulare”.

Entrare nel mondo di un ragazzino e conoscerlo richiede uno sforzo enorme e per un genitore è spesso un’incomprensibile perdita di tempo, ma è fondamentale.

Quali fattori favoriscono il rischio di dipendenza? 

“Sesso maschile, bassa autostima e identità insicura, life skill e competenze sociali deboli con reazioni immature, mancanza di interessi – afferma Chiara Marchi – sottolineando che fin da bambino ognuno di noi inizia a sviluppare una comunicazione efficace, empatia per l’altro, la capacità di proporre in modo assertivo la propria opinione: tutte competenze che ci servono nella vita, indispensabili per far fronte alla richiesta pressante che viene dall’esterno. I video giochi diventano il campo in cui un ragazzino può giocare la partita ad armi pari se nella vita quelle competenze non le ha”.

Sara Gelli

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