L’eco c’è ma non si sente

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E’ venerdì sera. Sono le 22 quando arrivo con passo spedito nel cortile d’onore di Palazzo Pio. Da lì a mezzora, inizierà la lezione-spettacolo dello psichiatra, psicoterapeuta, illusionista e studioso di scienza dell’inganno, Matteo Rampin. Il titolo, Storie di magia. La trappola delle illusioni, ha una doppia promessa che mi piace. Probabilmente quanto agli altri astanti, che hanno dato il colore di un abito di inizio primavera (nonostante sia quasi estate) al grigio scuro delle sede. (O)scuro come ciò che accade in un castello. Ecco, Rampin, inizia da qui: “C’era una volta un castello (che caso!). Bello, abitato da persone che compivano gesta eroiche. Poi, con gli anni, queste persone sono venute a mancare, ma chi vi entrava riusciva a sentire ancora l’eco delle loro imprese”. L’incipit, Rampin, lo ripete più volte: nei primi minuti, si interrompe ironizzando per l’abbaiare di un cane tra i presenti (“Non si può certo dire che non ci sia neanche un cane!”), per il tacchettio di una nuova arrivata (“E poi si sentiva rumore di passi”), o per un trillo che avverte di un dimenticato spegnimento di uno smartphone (“C’erano anche le campane”). Faremo notte sul c’era una volta, mi domando. No, per fortuna. “Gli echi, però, col passare dei secoli scemano. Per tornare a sentirli, le persone si rivolgono a dei maghi. Ma mica tutti sono buoni. Ce ne sono anche di cattivi”. Già. Ed è qui che scende dal palco per cercare un giovane assistente, Giacomo, fa il liceo classico, non a Carpi. Rampin fa alzare in piedi il pubblico e chiede a noi e a Giacomo, che gli è di fianco, di compiere gli stessi suoi gesti. Dobbiamo allungare le mani, incrociare le braccia e poi intrecciare le dita. Rimaniamo tutti incastrati nella “trappola” in cui ci ha persuasi a metterci, mentre lui in un baleno si libera. Ci ha illuso. Anzi, no, in qualche modo ci ha fregati, ma non so ancora spiegarmi come. Non pago, Rampin, chiede a Giacomo di chiamare altre persone sul palco, “tutti maschi, mi raccomando, perché le donne sono più difficili da imbrogliare (e ride)”. Ma una ragazza sul palco ci finisce lo stesso. Questa volta la faccenda si complica: Rampin vuole dimostrare che si può togliere la forza di gravità a uno dei prescelti. Lo fa sedere al centro del palco, mentre gli altri gli stanno intorno e noi a guardare. Rampin promette di passare i suoi “poteri”, basta che tutti impilino le mani sul capo del futuro lievitante, dove in cima metterà le sue. Al primo colpo non riesce: “avevo detto niente ragazze (e ride di nuovo)”. Anche voi l’avete già sentita la storia che racconta di come la colpa sia sempre di qualcun altro? Al secondo tentativo, “messa a parte la ragazza”, Rampin “infonde davvero” i suoi poteri e l’uomo viene “sollevato dall’illusionista e dai suoi assistenti con la sola forza di indici e pollici puntati. E la gravitas non c’è più. Non so cosa sia successo, ma ora è chiaro dove l’illusionista volesse andare a parare: il castello siamo noi e l’eco che non sentiamo più è il nostro. Eppure c’è. Che mago chiamare? Non c’è bisogno di dirlo, a questo punto… 

Antonella De Minico

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